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    La donna di Isdal

    Ciò che racconterò oggi, è uno dei più grandi misteri che macchia di rosso la Norvegia.
    E’ un freddo pomeriggio del 29 novembre 1970, nella valle di Bergen. Un professore con le sue bambine si trovano lungo i pendii della Valle di Isdalen a fare una scampagnata. Erano circa le 13:15 quando scoprono dei resti quasi tutti carbonizzati di una donna nuda e abbandonata, i resti della donna erano poco distanti da un sentiero che si perde poi tra la boscaglia. Accanto a ciò che rimaneva del suo corpo, c’erano una dozzina di pillole sonnifere, un pranzo a sacco una bottiglia di liquore vuota e due bottiglie piccole di plastica, quelle due bottigliette di plastica emanavano odore di benzina.
    Poco più distante dal corpo, c’erano delle ceneri, ceneri a quanto sembrerebbe, di un passaporto. Su quel che poteva vedersi del corpo, si intravedevano lividi sul collo, mentre le impronti digitali erano state cancellate.

    La polizia di Bergen, senza alcun dubbio si mise subito a lavoro per capire cosa fu accaduto.
    In poco tempo, la polizia trovò due valigie abbandonate che senza alcun dubbio erano della donna alla stazione ferroviaria, ma la speranza di risalire all’identità della donna fu subito abolita, non c’erano tracce di identità e nemmeno impronti digitali. L’unico indizio di impronti che fu trovato dalla polizia ma che non bastava, era su degli occhiali rotti, un impronta parziale. La polizia sviluppò un identikit inviato all’ Interpol, scoprendo così che oltre un centinaio di persone in tutto il mondo incrociò la donna, la donna però nascondeva il suo volto sempre, con diverse parrucche. Durante un analisi più approfondita della valigia, nel doppio fondo trovarono degli stralci di diario scritto in codice,
    quelle scritture in codice riportavano ai luoghi che essa visitò negli anni.
    I vestiti furono mandati da un sarto esperto, che concluse che la donna avesse un atteggiamento provocante in contrasto al basso profilo che aveva nei suoi viaggi, dicendo anche che i vestiti sembravano esser stati acquistati in Italia.
    Fu scoperto che la donna viaggiando per l’Europa usò nove diverse identificazioni:
    Jenevive Lancia, Claudia Tjelt, Vera Schlosseneck, Claudia Nielsen, Alexia Zarna-Merchez, Vera Jarle, Finella Lorck ed Elizabeth Leen Hoywfer, ovviamente tutte identità false.
    L’autopsia rivela che nello stomaco c’erano 50 pillole di sonnifero, così che ci fu la frase “causa della morte suicidio, trauma da corpo contundente”.
    Nessuno credeva alla causa della morte descritta.
    Gli investigatori, riuscirono a rintracciare un fotografo italiano che passò del tempo con lei a Loen, all’ hotel Alexandra. Scoprendo che tempo indietro era collegato ad un caso di stupro.
    L’uomo dichiarò che la donna le disse di provenire da una piccola città a nord, del Sud Africa, che sarebbe andata sei mesi in Norvegia per apprezzare le bellezze naturali ed il paesaggio mozzafiato. All’ hotel Marin, la donna aveva la stanza 407, i testimoni la descrivono come una donna sui 35 anni, occhi piccoli e con un
    atteggiamento guardingo, testimoniando che l’ultima volta vista era nella sala dell’hotel che parlava con un uomo, succesivamente
    prese un taxi, facendo così sparire ogni sua traccia.
    Tutto lascia intendere che era una spia, probabilmente al servizio dell’ Italia, Francia o Germania. Qualsiasi fosse la verità, ora riposa nel cimitero di Mollendal in Norvegia.
    Dopo 51 anni dall accaduto, ancora non si ha una risposta, e forse non la si troverà mai.

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